giovedì 26 marzo 2015

Diritto di cronaca giudiziaria: tra libertà di pensiero e diritto alla reputazione

Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo (La Liberté guidant le peuple), 1830 [1].
Massima: Rientra cioè nell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagini e atti censori provenienti dalla pubblica autorità, ma non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività.














Questione di diritto: quale è il limite tra il diritto di cronaca giudiziaria e il diritto alla reputazione dell'indagato?

Il ragionamento della Corte punta a definire e a distinguere la funzione della magistratura da quella del giornalista.
In realtà i Giudici inquadrano il diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, "nella categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell'ambito della vita associata". Sembrerebbe dunque che gli Ermellini prediligano l'aspetto funzionale del diritto di cronaca - teso cioè ad informare la collettività - piuttosto che connotarlo come libertà individuale del giornalista.
Da questa premessa ne discende che il giornalista non incorrerà nel reato di diffamazione qualora si limiti a riportare i fatti verificatisi durante le indagini evitando di prospettare l'evoluzione e l'esito delle indagini in maniera non corrispondente al dato fattuale.
Nel caso in esame il giornalista aveva integrato i dati relativi alle indagini in corso con altri da lui personalmente tracciati, determinando - secondo i Giudici - un indebito esercizio dell'attività spettante agli organi inquirenti.
Ciò, unito all'assenza di veridicità dei fatti narrati, determina un uso distorto del diritto di cronaca e dunque configura il reato di diffamazione.
Per tali ragioni la Corte nel confermare la sentenza appellata, ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti del giornalista.

Approfondimento: Commento alla posizione della Cassazione

[1] Descrizione del quadro.

lunedì 16 marzo 2015

Responsabilità dell'amministratore di condominio per danni subiti dai condomini

Massima: La figura dell'amministratore nell'ordinamento non si esaurisce nell'aspetto contrattuale delle prerogative dell'ufficio.
A tale figura il codice civile, e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d'essere dei beni condominiali provochi danno di terzi (e dei condomini, n.d.r.).
In relazione a tali beni l'amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d'essere,  si trova   nella posizione di custode.

Sentenza Cassazione Civile, sez. III, 16 ottobre 2008, n.25251.





Questione di diritto: L'amministratore di condominio risponde personalmente per i danni subiti dai condomini?

L’amministratore di condominio, stabilisce la Suprema Corte,  svolge il ruolo di custode dei beni condominiali, ex art. 2051 c.c., pertanto è tenuto a compiere tutte quelle attività necessarie in modo da preservarne l’utilità ed evitare che i beni comuni arrechino danni ai condomini o a terzi.
Nel confermare suddetta tesi, inoltre, i Giudici richiamano un caso analogo affrontato dalla stessa Corte nel quale veniva condannato l'amministratore che con il proprio comportamento negligente non aveva dato esecuzione a lavori di riparazione di un lastrico solare disposti dell'assemblea condominiale, aggravando in tal modo i danni all'appartamento di un condomino a causa delle infiltrazioni.
Tale   orientamento, recepito inoltre dalla riforma del condominio L. 220/2012, è  espressione dell'evoluzione della figura dell'amministratore di condominio, la quale assume sempre più forti responsabilità ed obblighi.

sabato 7 marzo 2015

Danno ambientale: privati ed associazioni non sono risarcibili

MASSIMA: Spetta esclusivamente allo Stato (e, in particolare, al Ministero dell'Ambiente) la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati contro l'ambiente per ottenere il risarcimento del danno ambientale, inteso come interesse alla tutela dell'ambiente in sé considerato.

Sentenza Cassazione Penale, sez. III, 11 febbraio 2015, n. 3345







Questione di diritto: privati, associazioni ed enti locali possono legittimamente costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento per danni ambientali?

Preliminarmente la Corte affronta le questioni circa la risarcibilità del danno in collegato alla commissione di un reato. Il danno, patrimoniale e non, deve essere puntualmente provato.
In particolare il “il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di danno evento”.
Per tali ragioni Il danno non patrimoniale non può mai sussistere in re ipsa, ossia per il discendere automaticamente dalla lesione di un valore della persona.
Ma vi è di più. L'ambiente, come riaffermato dalla Suprema Corte, è un bene di natura pubblica per cui i reati ambientali tutelano un interesse pubblico e generale.
Da tale principio di diritto ne discende che solo lo Stato e per esso il Ministro dell'Ambiente potrà legittimamente costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno ambientale.